Appunti, per una storia tutta da scrivere, la mia storia.
Storia di cui l'unica cosa chiara
era il titolo.
Mi viene da sorridere, a rileggerle, oggi...comunque,ecco qui:
Mi viene da sorridere, a rileggerle, oggi...comunque,ecco qui:
TROPPI GIORNI SENZA
PENSARE
APPUNTI PER UNA STORIA DA
SCRIVERE
1.
Allora, credo di essere
una persona con poche certezze nella vita: so che mangiare troppa nutella fa
venire i brufoli, so che guardare troppa televisione rimbecillisce, so persino
che non é vero che masturbarsi fa diventare ciechi ( dopo esperimenti su
esperimenti), so che puoi capire come ti andra' una giornata da come ti svegli
la mattina: bene, anzi, male, io mi sono svegliato una merda.
Ieri.
Lo squillo del telefono
mi ha colpito in testa come una mazza colpisce una palla da golf, solo almeno
una decina di volte, prima che mi rendessi conto di dove ero io e dove era
l'aggeggio infernale.
Hallo...tentando un tono
sveglio o quasi, che naturalmente mica mi riesce.(le birre di troppo del sabato
sera seppellito appena tre ore fa cantano stonate, in testa)
Ci provo di nuovo, Hallo?
Dall'altra parte un
timido e lontano "Paolo?
2.
Ed eccomi qui, nella mia
automobile inglese, mentre guido su questa strada inglese, con musica inglese
che riempie l'abitacolo con le sue storie e tiene fuori la pioggia di questa
stagione, dove il cielo é quasi sempre color acciaio e il blu tra le nuvole é
il blu piu' blu che tu ti possa mai ricordare.
Eccomi qui, dicevo,da
solo, bloccato in una coda che non finisce piu' , con me , me stesso e io, che
come spettri delle mie vite passate mi parlano di tutto cio' che ho fatto, mi
ricordano di tutti quei giorni passati senza pensare, a inseguire qualcosa che
non ho mai trovato, cosi' in corsa da non rendermi conto neppure del terreno
bruciato che stavo creando tra me e le persone vicine.
Un io che sembra piu'
vecchio di quanto sono mi sussurra di questo, mentre un me stesso di quasi un
anno fa mi ricorda di un Paolo appena arrivato a Londra, un Paolo chiuso in se
stesso e ,ma non l'avrebbe mai ammesso, timoroso della grande citta'.
Il paesaggio mi scorre
intorno e...
3.
Non riesco a dormire, e
mentre sento il suo corpo nudo che si stringe al mio ,inseguito da qualche
brutto sogno,ripenso a come l'ho conosciuta, quando , appena arrivato
dall'Italia, ascoltavo la sera dalla porta accanto venire fuori queste stupide
canzoncine suonate al pianoforte, spezzate ogni tanto da pezzi di musica
classica,che, come la pioggia di Londra , finivano cosi' improvvisamente come
cominciavano,lasciando il loro tempo a un sole di musichette da corn flakes.
E ad essere sincero non
mi ero mai chiesto chi fosse, appagato dal sapere il suo nome, letto una
mattina alle quattro circa, di ritorno da una notte troppo ubriaca per
ricordarmi dove l'avessi passata.
Susan, SusanSusanSusan, e
mi era troppo venuto da ridere mentre mi immaginavo questa Susansessantenne che
mi apriva la porta con i bigodini per i finti ricci in testa, mentre io
curiosavo chi fosse sulla targhetta sotto lo spioncino.
Non ci avevo piu'
pensato, mi godevo solamente la sua musica, il sapere che c'era.
Fino a quando. Si, fino a
quando una domenica mattina, insolitamente piu' sveglio del solito, sono andato
a fare colazione sul terrazzo del mio appartamento.
E me ne stavo li , a
guardare London city addormentata dieci piani sotto di me,e mi sento chiamare:
Paolo? Interrogativo e stenatissimo.
Mi sono girato in
direzione della voce e in rapida successione meta' del caffé mi é andato
storto, l' altra meta' me la sono rovesciata addosso, e da quanto scottava
stavo andando a salutare il signore che leggeva il goirnale giu' in strada. Ho
riaquistato dignita' (non credo, ma lei non me l'ha mai detto) in men che non
si dica, e , mentre con la coda dell'occhio controllavo la macchia marrone
sulla mia maglietta, lei era li, a seno nudo,affacciata alla finestra accanto
al mio terrazzo, con quel suo sorriso cosi' svagato, che mi ripeteva: Paolo?
Aveva letto il mio nome
sulla targhetta della porta.
Lei era Susan, non era
inglese neppure lei, veniva dalla Svezia, e lavorava nel campo della
pubblicita', erano proprio sue, come teneva a puntualizzare, tutte quelle
stupide canzoncine che facevano da contorno ai bastoncini di pesce o al
tigrotto dei fiocchi d'avena.
Ho scoperto poi queste
cose, durante le nostre cene da buoni vicini, nelle quali lei mi propinava cibi
macrobiotici, e io tentavo di spiegarle la poesia di una buona carbonara.
Questa era Susan, con i
suoi piercing ai capezzoli e la sua musica, e questo ero io, gia' innamorato.
E ora? Ora sono ormai tre
mesi che viviamo insieme, dalla prima volta che abbiamo fatto l'amore, un po'
alticci, di ritorno da una delle nostre serate un po' assurde.
Lei calcia via qualcosa
nei suoi sogni, e io le do un bacio, affondando la faccia nei suoi capelli per
tentare di dormire.
4.
La citta' mi ha
abbracciato come una vecchia amante quando ho visto il suo cielo fuori dalla
metropolitana.
E, veramente, mi é
sembrato di non essermene mai andato via.
Come baciare per la
seconda volta una donna che desideri da sempre, le sensazioni mi hanno travolto,
si ,perché credo sia cosi': la prima volta non ci credi neanche, é la seconda
volta che le emozioni si sentono di piu'.
Le voci.
Le luci.
Questo cielo color
cemento,cosi' freddo e ostile, ma lo stesso carezzevole e accogliente.
Nevischio gelato cade,
rado e pungente.
E mentre cammino verso
l'albergo, Lei, con il suo vento, mi ha parlato: Non te ne sei mai andato da
me, e tra noi nulla é cambiato.
E la telecamera che
riprende la mia vita inquadra un mio lieve sorriso, e accellero il passo.
Ciao, Milano.
5.
La notte scivola via
lenta, tra rumori della strada e sussurri dei miei sogni.
O realta'?
Quando la senti al tuo
fianco, sai che la stai stringendo a te, immerso nel suo profumo, con il sapore
della sua pelle sulle labbra, e per un istante sai che non stai dormendo, senti
il tuo corpo solo sotto le lenzuola e lei svanisce nel buio dei tuoi occhi
chiusi .
Che non aprirai, perché
speri che ritorni.
Che non aprirai, perché
sai che il buio dei tuoi occhi chiusi é meglio del soffitto della stanza illuminato
dalle luci della strada.
E serri ancora di piu' le
palpebre e ti giri nel letto per cercarla ancora.
Lontano.
In qualche sogno, magari.
La mattina arriva
violenta tra i sogni.
6.
Perché sono venuto qui?
Qui, di fronte a questa vetrina, in questa strada, in questa citta' dalla quale
sono scappato tanto tempo fa?
Sono quasi trasparente
agli sguardi tanto mi sento anonimo, persino Martina non si é accorta della mia
presenza,li',lontana da me solo i millimetri blindati del vetro, nel suo
impeccabile completo ghiaccio, che mostra ad una coppia di annoiati
cinquantenni l' ultima prodigiosa produzione di un qualche incompreso artista,
uno di quelli sponsorizzati dalla galleria, uno di quei bastardi che fa tanto
l'asociale, e poi finisce a dipingere quello che detta la moda, senza credere
in altro che nel suo fuoristrada e nel suo orologio d'oro.
Tento di incrociare lo
sguardo di Martina, tentare di leggere a cosa sta pensando...se é triste, o
felice(non credo), o semplicemente non ci pensa e va avanti con il pilota
automatico, e vive sulla superficie delle sue emozioni.
E temo sia cosi' , mentre
lei si accorge di uno sguardo insistente puntato su di lei e io affondo nel
nero dei suoi occhi.
L' uomo che sta portando
a pisciare il cane sulla ruota della macchina del vicino antipatico , l'uomo
comune non vede che solo per un istante della sua vita, nel momento in cui mi
urta, lo sguardo stupito di questa ragazza dietro la vetrina, sopra il suo
completo perfetto, sotto il suo chignon perfetto, la sua bocca aperta a una
muta e perfetta "O" di stupore.
Farfuglia uno scusi
veloceveloce mentre il cane abbaia qualcosa, ma io sono andato gia' via, e lui
si é gia' dimenticato tutto.
E non ho voluto credere
alla voce che mi chiamava alle mie spalle mentre attraversavo la strada col
rosso e sparivo via.
7.
Prendo da terra le
lettere che mi hanno aspettato dietro la porta,e accendo lo stereo, per sentire
un po' meno il silenzio della casa vuota.
Il cd parte, e quasi mi
cadono le buste dalle mani mentre ascolto la musica che fuoriesce dalle casse.
Susan, é il messaggio che
mi ha lasciato prima di andare via.
cosi', cosi' credi di
poter distinguere
l' inferno dal paradiso
cieli blu dal dolore
puoi distingure un prato
verde da freddi binari d'acciaio
un sorriso da un sospiro
credi di poterlo fare?
E ti hanno fanno vendere
i tuoi eroi come spettri
calde ceneri come alberi
vento caldo come fresca
brezza
fredda comodita' come
cambiamento
E hai scambiato
una passeggiata sul campo
di battaglia con uno scettro in in una gabbia?
Come vorrei, come vorrei
fossi qui
siamo solo due anime che
nuotano in una boccia per pesci
anno dopo anno
correndo sempre sulla
stessa vecchia terra
cosa abbiamo scoperto?
Le stesse vecchie paure,
vorrei fossi qui.
Wish you were here, la
canzone piu' commovente dei Pink Floyd, e una voce dentro mi chiede se mi
ricordo di quel pomeriggio sdraiati sul tappeto a mandare via la pioggia
tenendoci compagnia, mangiando cioccolata, raccontandoci di quel tipo o quella
tipa che...
E io che avevo messo su
questa canzone, raccontandole cose che probabilmente gia' sapeva , ma che lei
ascoltava rapita, solo perché ero io a dirle, e le dicevo che era bello che lei
fosse li' con me, che avrei considerato quelle note la colonna sonora di quella
che allora era ancora la nostra amicizia,e....
E ora sto piangendo,
pensando al male che ha provato quando sono andato via, pensando a questo suo
ultimo messaggio, alla casa che ora mi sembra piu' buia e irrespirabile di
prima.
8.
La vedo da lontano in
mezzo alla folla da aereoporto che si guarda in giro e non sa dove andare. Lei
no. Sa benissimo dove andare: da nessuna parte. Sta li, ad aspettare un me che
non vede da così tanto che mi sembra un secolo, sicura di sè come lo è sempre
stata.
Come quando mi ha detto:
Vai, se te la senti, io ti aspetto.
Sicuro che me ne vado, e
sicuro che non hai capito un cazzo, amore, perchè è da te che scappo.
Rimango ad osservarla,
fermo qui, mentre la gente mi scorre intorno come salmoni controcorrente,
pensando a una frase da dire, come se un "ciao" detto con entusiasmo
possa riempire il buco che le ho lasciato, e che cerca di riempirsi venendo
fino qui a Londra, come se un cazzo qualsiasi non bastasse.....ma no, questa è
cattiva.
9.
Ieri, prima, un po’
prima.
Parcheggio dietro Covent
Garden, cercando di esorcizzare il pensiero del pulotto cornuto che mi clampa
la ruota, solo perché il suo sabato sera è in mezzo alla strada, e vado.
Susan è lì, davanti a
casa dell’Henry, o Philipppe, o come cazzo si chiama, che mi chiama con la mano
alla festa, perché ti fa bene frequentare gente nuova, Paolo.
Si, Ma chi è sto tipo che
lavora con te e che organizza party selvatici in Covent Garden?
Henry, o Philipppe, o
come cazzo si chiama.
Ah, allora lo conosco.
La guardo, e mentre la
trovo splendida solchiamo la porta di come cazzo si chiama.
Prodigi che spaccano le
loro troie allo strereo e gente che parla, balla, mangia e limona sparpagliate
su ogni metro quadrato della maison; mentre perdo la mia dama, corsa a salutare
HenryPhilipppe, trovo davanti a me questa tipa da
Io mi chiamo Caroline, e
tu (bel giovanotto), Paolo, dici?
Ah, fai il manager per
Quelli la? Dice, annuendo con le tette, come se le sue tette conoscessero
tutto, di quelli la, Oh ma allora conoscerai pure...
Ah, Oh, No. Rispondo.
Ripesco Susan sta a
parlare con tipe interessanti che se la ridacchiano quando arrivo.
Ah, allora sei tu Paolo,
il boyfriend di Susan.
Oh. Credo che mi stono,
stasera.
Usciamo molto più tardi
dal party con la testa leggera che si sveglia un po’ con l’aria very cool che si
respira in quel di Londra, abbracciati e ubriachi cerchiamo la vecchia Vauxall.
Trovata, clampata, però.
A parte un paio di
goddamn e qualche sano porca troia italiano, dobbiamo aspettare che riapra il
metrò per tornare a casa, dolce Susan, che facciamo?
Torniamo alla festicciola
e gli finiamo i drincs, a come cazzo si chiama, penso, più alticcio che mai.
Il bacio della mia bella
la pensa diversamente, la pensa di fare l’amore in macchina, come due
ragazzini, e poi...
Credo che lei pensi
meglio.
10.
Un giorno qualunque, in
un momento qualunque.
Ci ripensava, ogni tanto,
Paolo, a quello che sarebbe potuto essere se.
Se, se fosse rimasto, se
non avesse inseguito il "qualcos' altro", proprio quello che, in
questi momenti, sentiva di non aver mai trovato.
L'aqua del Tamigi qui
scorre da destra versi sinistra.
L'avevo mica mai notato,
questo, e probabilmente non avevo mai guardato fuo dalla finestra del mio
ufficio.
Perche' adesso si?
Martina ha telefonato
giovedi', presa malissimo per come mi visto scappare dalla galleria (che
s'aspettava poi? Che corressi da lei a braccia aperte?)
Susan invece non ha
chiamato affatto.
11.
E incredibilmente, mentre
parlo con lei, mi sembra di conoscerla da sempre, mentre sorride con gli occhi
alle cose che dico, mentre mi dice: "Paolo, parla piu' piano", mentre
mi racconta dei suoi passati viaggi in Francia e Ungheria, mentre ci salutiamo
e lei torna al suo lavoro, e io non riesco a staccare gli occhi dalla sua
figura che scappa in the tube, mentre sono in ritardo per il mio ritorno in
ufficio.
Susan.
Un nome, in mente, e il
suo indirizzo, guada caso il mio.
12.
Non ne potevo piu' di
aspettare.
Una settimana fa se ne e'
andata, dieci giorni dopo il mio "Io ritorno indietro.", e il suo
silenzio.
Una settimana senza la
sua voce, senza la sua musica.
Adesso era veramente
troppo.
Philippe, il suo amico
culo, non ne sa niente, e da Marie, la sua collega francese, ho ottenuto solo
un "je t'ammerde se solo ti avvicini a lei bastaardo".
Gentilissima, le ho
risposto, da quant'e' che non scopi?
Ora me ne sto qui alla
victoria, col naso per aria ad aspettare che venga annunciato il mio treno, e
spero solo di trovarla, non mi frega di null' altro, in questo momento, solo
poterle mettere un cerotto sul cuore spezzato e poterla riabbracciare ancora.
13.
Le bambine coi boccoletti
si siedono davanti a me, e ridacchiano curiose quando tiro fuori il blocco per
appuntare le prime cose da fare arriavato ad Edimburgo.
Sembrano fotocopiate,
stessi ricci biondi, stesse guanciottine rosse, stessa risata cristallina da
bimbo nordico, l'originale, di almeno vent'anni piu' vecchio, le tiene d'occhio
da due sedili piu' in la', per evitare che mi infastidiscano.
A un loro ennesimo
sguardo finto-casuale mi metto a ridere, e loro, scoperte nel loro gioco di
bambini di dieci anni, corrono dalla mamma.
Journalist? si chiedono
tra loro
No, secret agent,
rispondo io.
"Oh" lungo come
il treno che, imperturbabile, continua a sferragliare via..
E mi volto con civetteria
verso il finestrino, lasciandole ancor di piu' nella curiosita'.
La faccia che mi guarda
dal finestrino mi sorprende.
Un paio di occhi da
bambino, incorniciati da una barba di tre giorni; era un casino che non vedevo
il mio sguardo in questo modo.
Beh, era anche un casino
che non giocavo con dei bambini.
14.
In quei giorni non mi
guardavo piu' allo specchio.
Sfuggivo dagli occhi che
mi osservavano: certo, normalmente me ne sarei fregato, anzi meglio :"Che
cazzo c'hai da guardare?", normalmente.
Normalmente...Ma quegli
occhi li', nello specchio, erano i miei, e veramente era difficile guardarmi.
Probabilmente non mi
piaceva cio' che vedevo li', era il "fondo" degli occhi a giudicare,
e non il contrario; era il fondo che ribolliva, a specchiarsi in finestre
stanche.
15.
La ragazza che mi sorride
quando chiedo informazioni al pazzo che vive nelle metropolitane, quello li',
il tipo che si crede essere un cavaliere del re Giorgio, il pastore protestante
che mentre sbircio i suoi appunti sul sermone da recitare mi attacca a parlare
di sua moglie e dei guai che ha con lei, il bambino che mostra orgoglioso al
mondo i suoi progressi con lo yoyo che si e' faticosamente guadagnato (il
topino dei dentini mi ha dato ieri l'ultima monetina, dice orgoglioso
mostrandomi una finestrella rossa in bocca), l'impiegato che mi passa il
giornale sul metro, i turisti e i barboni, tutto questo e' Londra, la sua
carne, cio' che la rende cosi' viva, malgrado ti circondi con la sua storia. E'
questa la Londra che amo, la citta' che ti sorride, sia inondata di sole che
bagnata dalle sue piogge nervose.
E' con questo pensiero
che oggi cammino per la citta', perennemente in ritardo a lavoro (ma non e'
colpa mia...sapete, i mezzi).